Con la luce negli occhi

sognando Diego Armando Maradona

 

Interprete: Marco Aspride

Voice over: Nello Provenzano

Regia: Riccardo Pisani

Produzione: Contestualmenteatro

 

Il progetto scenico è incentrato sulla figura di Diego Armando Maradona nella sua complessità in

quanto Diego è tante cose: il più grande calciatore di sempre, uno degli sportivi più famosi al mondo,

un rivoluzionario, un uomo generoso, una persona travolta dalle proprie debolezze, una figura

scomoda al potere, un napoletano nato per sbaglio in Argentina. Tutte queste sfumature, che lo

rendono unico, hanno fatto di lui una leggenda già in vita, destinata a perpetuarsi nel tempo.

Quello che più ci interessa è la sua condizione di uomo libero, capace di affrontare a testa alta la

vita e capace di ammettere i propri errori. Maradona è uno dei tanti scugnizzi di Villa Fiorito con in

tasca due sogni “giocare il mondiale e vincerlo” e crescendo ha sempre mantenuto quella promessa

fatta a se stesso così come tutte le altre promesse fatte, sia dentro che fuori dal campo. Un uomo

che si è fatto voler bene e che ha avuto il coraggio di rispondere colpo su colpo a chi voleva vederlo

cadere in disgrazia.

Solo una volta el Diego ha mostrato il fianco, offrendosi in sacrificio agli avvoltoi che da sempre,

volando minacciosi sulla sua testa, hanno segnato il corso della sua vita. Ma anche quando tutto il

mondo gli è crollato sotto i piedi, Diego non ha mai trascinato chi gli stava accanto nel baratro che

si era spalancato e, come lui stesso più volte ha affermato, in fin dei conti ha fatto del male solo a

se stesso, senza fare danno agli altri. Ciononostante ha pagato un conto molto più salato del dovuto.

Una volta Muhammad Alì, ha detto “Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere, è

sbagliato rimanere a terra” e Diego era esattamente così, una forza inarrestabile, nata dalla fame e

dal nulla che, dopo ogni caduta, ha sempre trovato la forza di rialzarsi.

Non è un caso se abbiamo scelto di parlare del più grande calciatore di sempre con le parole del più

grande pugile di sempre. Tra di loro c’è un filo diretto, una sorta di connessione che sconfina

l’ambito sportivo e assume una dimensione prima umana e poi universale. Maradona e Muhammad

Alì sono infatti due figure che rappresentano dei veri e propri terremoti sociali, delle incredibili

rivoluzioni che hanno segnato il mondo intero.

Queste due figure infatti non si limitano ad abbinare un messaggio sociale o politico alla disciplina

sportiva (come ad esempio gli atleti che si inginocchiano richiamando il movimento black lives

matter) ma hanno fatto qualcosa di più, hanno trasformato la loro vita e la loro disciplina sportiva

in un mezzo rivoluzionario e l’effetto, che è innegabilmente sotto gli occhi di tutti, è stato

dirompente.

 

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Maradona diventa infatti l’uomo simbolo di una città (Napoli) e di una nazione (Argentina). Lui si

immedesima nella gente, nei bambini di strada, negli oppressi, nei discriminati e lo fa in modo

naturale, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, diventando così, paladino, portavoce e difensore

dei più deboli.

Ed ecco che Diego diventa l’eroe del popolo, un uomo capace di realizzare l’impensabile. Maradona

vince tutto e, se all’Argentina regala un mondiale contro ogni pronostico, col Napoli va oltre, e

alzando i trofei lancia la sfida al cuore stesso del potere. Per Napoli e per i napoletani, vincere uno

scudetto contro le compagini del nord, sarebbe bastato a fare di lui un eroe ma, vederlo andare in

televisione su una rete nazionale e denunciare il razzismo verso una città e un popolo, questo va

oltre ogni aspettativa e trasforma l’eroe in idolo. Se aggiungiamo le magie calcistiche, la passione

viscerale, la bontà d’animo e le altre mille qualità di Diego, ecco che l’idolo diventa D10S.

Un dio umano, un figlio di Napoli, un padre, un fratello, una guida, un masaniello, un’ispirazione.

Diego riesce a trasmettere un senso di identità e crescita, che mai nessuno era riuscito a restituire

a Napoli e ai napoletani. Ed è per questo che a Napoli il senso di sacralità nei suoi confronti si

percepisce ovunque, nelle strade, nelle case, nei bar e le foto e i murales che lo ritraggono lo

rendono un personaggio onnipresente che ancora oggi fa parte del quotidiano.

Maradona è letteralmente idolatrato e tutto quello ha a che fare con la sua persona viene trattato

al pari di una reliquia. Nel tempo Diego ha acquistato la stessa popolarità di San Gennaro, patrono

di Napoli, e in molti conservano gelosamente oggetti di ogni tipo che lo ritraggono dentro e fuori

dal campo. Persino un suo capello “magico” e dai presunti poteri curativi, viene gelosamente

conservato in una teca e offerto alla vista dei passanti, dei curiosi e dei tifosi.

Per raccontare Maradona abbiamo scelto di dare voce proprio a uno di questi tifosi che, il 25

novembre 2020, in piena pandemia, viene raggiunto dalla notizia della “morte del più grande di

sempre”. Appresa questa notizia, il nostro tifoso viene assalito da un profondo dolore che, data

l’emergenza pandemica, non può neanche condividere con altre persone. Non un abbraccio, non

un coro. Lui è di Napoli, ma la vita l’ha portato lontano dalla sua casa e dalla sua città e, mentre

all’ombra del Vesuvio, così come a Buenos Aires, migliaia di persone, sfidando le limitazioni, si

riversano in strada per omaggiarlo nelle piazze e fuori agli stadi, lui si ritrova solo e isolato dalla

comunità a cui sente di appartenere.

Questa condizione di isolamento dà il via a una riflessione su Diego Armando Maradona, l’uomo che

più di una volta era stato dato per spacciato, ma che con tenacia si era sempre rialzato. Ci piace

pensare che la morte abbia scelto di portarlo con sé di notte, mentre dormiva, per evitare di essere

dribblata dal Diego, come già era successo in passato.

 

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Il tifoso è quindi da solo, in casa, dove l’unica cosa che vediamo è un vero e proprio altarino votivo

dedicato a Maradona, di cui lui si prende cura. L’altare è composto da vari oggetti simbolici (o

citazioni) del personaggio. Un mappamondo, come quello con cui posa dopo il mondiale dell’86; una

mano sinistra (di un manichino) a simboleggiare la mano de Dios, complice del primo contestato gol

contro l’Inghilterra; una ferrari nera come quella che scelse a Napoli; una foto incorniciata, e altri

oggetti che fanno riferimento al Diego uomo e al Maradona idolo.

In scena il nostro tifoso si prende cura del suo altarino e, entrando in contatto con simboli così

potenti e evocativi, comincia un processo di immedesimazione con Diego. Accede così a una

dimensione onirica e finisce con interpretare in scena il Diego giocatore, con tanto di parrucca riccia,

completino del Napoli e orecchini di brillanti incastonati d’oro. In questo modo ripercorre in prima

persona alcuni dei momenti più iconici, approfondendo il discorso sull’umanità del Digo, che come

tutti gli uomini può sbagliare ma anche redimersi.

Maradona infatti ha affrontato la vita da “uomo nato uomo”, senza mai soccombere a tutte le

accuse a lui rivolte. Che gli altri lo giudichino pure colpevole, se vogliono, lui si rialzerà sempre.

In scena il tifoso si trova quindi a confrontarsi con tutti questi aspetti, in equilibrio tra il sogno e la

dimensione del reale. La notizia della sua morte è l’episodio scatenante e in scena questo dualismo

si traduce in una dinamica di alternanza di stadi emotivi che il tifoso attraversa e sperimenta in prima

persona.

Il ritmo di questa alternanza è dato da una radiolina (come quelle da cui si ascoltava il calcio negli

anni ‘80) che si accende e si spegne in maniera autonoma, quasi a voler guidare il tifoso nella sua

esperienza e finisce col rappresentare, in quella determinata condizione di “isolamento”, la voce del

mondo esterno. Questi momenti sono gli snodi drammaturgici all’interno dei quali si muove il

personaggio e che alimentano la vicenda, costruendo una sorta di dialogo, che aiuta a sviluppare la

scena.

In legame con un mondo esterno presente ma lontano fa sì che l’iniziale dimensione di intimità si

trasforma e amplifica fino ad assumere un respiro quasi globale. All’apice di questo sogno, vediamo

scomparire l’altarino e gli oggetti di dimensioni normali, vengono sostituiti da oggetti di dimensioni

giganti. La percezione del tifoso è quindi amplificata e il nostro tifoso si ritrova immerso in un mondo

fantastico dove Diego assume una dimensione da gigante. Questa scelta scenica rappresenta l’apice

dello spettacolo ed è ovviamente una metafora della grandezza del D10S.

 

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Ma come la vita di Maradona, anche il sogno del tifoso è destinato a passare per un tritacarne che

tutto schiaccia e il ritorno alla dura realtà ci fa precipitare di nuovo nel presente, nella sua casa, e

nella sua solitudine. Ritorniamo quindi a l’iniziale dimensione dove gli oggetti giganti scompaiono e

dove l’altarino riguadagna la sua centralità. I panni del Diego sono svestiti, gli oggetti sono di nuovo

piccoli, il peso del momento è tangibile e il dolore è al massimo.

L’atto finale è una presa di posizione netta. Il tifoso non può più sostenere da solo tale peso e decide

di andare a rendere omaggio al suo Diego. Si mette una mascherina (col Diego) tira su il suo

cappuccio e si prepara a uscire con la luce negli occhi. Non c’è limitazione che possa trattenerlo, non

c’è legge che possa dargli torto. L’amore è più forte del dolore e, non importa se sarà da solo, lui

deve seguire il suo cuore e omaggiare il più grande di sempre.

Tutto ciò che si trova in scena di colpo sparisce e lui, come sospeso nel nulla, omaggia el Diego con

una pioggia di bolle, tributo onirico e simbolico al Pibe de Oro.

In conclusione questo lavoro vuole essere un atto di denuncia verso le etichette sociali che spesso

condizionano le vite altrui, creando delle vere e proprie prigioni fisiche e mentali e vuole parlare di

un personaggio universale, affrontandone prima l’umanità e poi la grandezza eterna, attraverso la

voce e il corpo di chi sa amare, poiché “chi ama non dimentica”.



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